Economia e finanza nel settore metalmeccanico:

un’analisi empirica sulle imprese in provincia di Modena 2005-2008

Il settore metalmeccanico rappresenta una realtà estremamente importante per l’economia modenese; infatti, la fitta rete di competenze meccaniche che caratterizza questo territorio non solo ha permesso alle imprese stesse di assumere una posizione di forza a livello mondiale in mercati di nicchia, ma è stata determinante anche per lo sviluppo di altri sistemi produttivi locali, ad esempio quelli della ceramica e del biomedicale.
Nella ricerca Metanet 2005 sono stati analizzati vari aspetti della realtà aziendale (assetto proprietario, attività svolta, mercati di sbocco, livello di integrazione verticale ecc.) che mostrano un settore solido, in cui le diverse imprese, legate da forti relazioni di interdipendenza, che negli anni 2004-2007 hanno cercato di affrontare le sfide poste dalla globalizzazione tramite importanti investimenti, soprattutto in innovazione e internazionalizzazione.
In questo contesto un ruolo importante è giocato dalle imprese di subfornitura, ciascuna specializzata in una specifica fase di lavorazione, e attive su diversi settori di destinazione. Tali imprese hanno puntato soprattutto in due direzioni: innanzitutto sul miglioramento del servizio e l’offerta di un prodotto sempre più completo; ciò ha dato un ulteriore impulso alle relazioni tra le imprese del distretto, poiché ha reso necessario decentrare ad altre aziende conto terzi alcune lavorazioni necessarie per completare il ciclo produttivo. Inoltre si è assistito a un’ulteriore specializzazione orientata alla produzione per piccole serie e pezzi unici: tale strategia risponde all’esigenza di offrire al cliente un prodotto il più possibile personalizzato e di qualità, per il quale egli sia disposto a pagare un premium price. La dimensione sistemica sembra favorire la crescita delle imprese che, proprio all'interno del distretto della meccanica di Modena, trovano opportunità di disintegrazione verticale e specializzazione produttiva che favoriscono i processi di innovazione delle imprese del distretto e la loro capacità competitiva.

Il quadro che emerge da Metalnet 2005 appare però in contrasto con quanto rilevato in uno studio condotto da Banca Intesa (Foresti,Guelpa,Trenti (2009), “Effetto distretto: esiste ancora?”, Servizio Studi e Ricerche, Intesa S. Paolo), nel quale vengono delineate prospettive tutt’altro che positive per quel che riguarda il futuro delle imprese distrettuali.

La tesi di laurea di Erica Poli mette a confronto i risultati ottenuti nella ricerca Metalnet 2005 con i dati di bilancio dello stesso campione di imprese, evidenziando un quadro che si discosta in modo significativo dallo studio di Banca Intesa, che indicava il venir meno dell'effetto distretto.
A fronte dei mutamenti del contesto competitivo che hanno caratterizzato l’economia e i mercati negli ultimi anni, in particolare l’aumento della concorrenza da parte dei paesi a basso costo del lavoro, Erica Poli esamina quale fossero le condizioni economico-finanziarie delle imprese modenesi negli anni precedenti lo scoppio della crisi finanziaria nell’agosto 2007. L'analisi indaga le differenze per classe di dimensione, tipo di impresa (conto proprio, conto terzi, di servizi)  e per comparto.

L’indagine ha riguardato un campione di oltre 200 imprese metalmeccaniche della provincia di Modena intervistate nell'indagine Metalnet 2005. Per questo sono stati analizzati i bilanci relativi al triennio 2005-2007. Per alcune di queste imprese, essendo disponibili i bilanci relativi al 2008, si è inoltre condotta un’analisi dei primi effetti che la crisi ha avuto sui risultati economici aziendali.

All’interno del campione considerato buona parte delle imprese presenta unicamente bilanci in forma abbreviata, sui quali non è possibile effettuare analisi approfondite. Ciò ha reso necessario scomporre l’analisi in due parti: la prima effettuata sull’intero campione, dalla quale ricavare le informazioni desumibili anche da bilanci in forma abbreviata, basata su una riclassificazione dello stato patrimoniale di tipo finanziario; la seconda riguardante solo una parte del campione, ossia quelle 97 società per le quali è disponibile il bilancio in forma completa, grazie alla quale integrare i risultati ottenuti sull’intero campione con informazioni più complete; in questo caso si è proceduto riclassificando lo stato patrimoniale secondo il criterio funzionale .

Sintesi dei principali risultati
Da una prima analisi svolta su tutto il campione oggetto di indagine è possibile trarre alcuni spunti interessanti di riflessione.
Nella struttura patrimoniale, un ruolo importante è giocato dagli investimenti a breve termine, soprattutto crediti, che rappresentano la maggior parte degli impieghi di capitale.
E’ confermata anche la bassa capitalizzazione delle imprese e il considerevole ricorso all’indebitamento (soprattutto a breve termine) per far fronte ai propri investimenti.
Nel complesso, comunque, le imprese mostrano un buon equilibrio finanziario.
Tale struttura finanziaria si ripresenta in modo abbastanza puntuale anche nelle analisi disaggregate, nel senso che non ci sono differenze significative che sconvolgono quanto visto a livello globale.
Si notano comunque delle diversità, che sono più evidenti per quanto riguarda la disaggregazione dimensionale e per tipologia.
Quello che effettivamente esprime lo stato di salute delle imprese è invece la parte di analisi relativa alla redditività.
Il ROE di settore raggiunge livelli mediani accettabili (7,01%)  e così pure il ROA (5,73%).
Il ROE risente del peso della componente fiscale e degli oneri finanziari, che hanno un effetto de moltiplicativo sul risultato globale della gestione aziendale.
Nel complesso dunque, parrebbe che le imprese del campione, seppur non ottengano risultati eccessivamente brillanti, non segnalino nemmeno situazioni patologiche.

La disaggregazione per classe dimensionale, tipologia e comparto ha inoltre permesso di mettere in luce alcuni aspetti interessanti.
Uno di questi riguarda la perfomance delle imprese di piccole dimensioni; esse, infatti, registrano un elevato valore di ROE e, cosa forse più importante, tale risultato non deriva da componenti straordinarie o extra operative, ma è invece fortemente influenzato da buoni margini sulle vendite e da un efficiente impiego del capitale. Tutto questo si traduce in una redditività del capitale investito migliore rispetto alle altre.
Non da ultimo, tali imprese sopportano un minor peso del costo dell’indebitamento e dell’imposizione fiscale.
Le società di maggiori dimensioni, invece, oltre a mostrare valori di ROA mediamente inferiori, risentono di un’incidenza delle imposte e degli oneri finanziari mediamente più elevata.

Il secondo risultato ottenuto riguarda la performance delle aziende di servizi; dai dati pare infatti che operare nella filiera in qualità di società fornitrice di assistenza e manutenzione porti a maggiori valori di ROE.
Nonostante si tratti di imprese mediamente più indebitate (come dimostra il minor peso dei mezzi propri sul totale delle fonti), esse non risentono in modo eccessivo del peso degli oneri finanziari.
Inoltre, riescono ad ottenere il risultato migliore nonostante la maggior pressione fiscale.

Infine, dalla disaggregazione per specializzazione produttiva, emerge che all’interno del settore metalmeccanico le imprese del comparto macchine e impianti per l’industria sono le più virtuose, principalmente grazie alla miglior redditività operativa e al minor peso di imposte e oneri finanziari.
Abbastanza isolato, invece, pare il caso del settore automotive, che ad una già bassa redditività operativa, associa un peso consistente di oneri finanziari e imposte.

Le analisi condotte su un sottocampione di imprese del settore metalmeccanico utilizzando i dati dello stato patrimoniale riclassificato secondo il criterio funzionale, hanno portato ad alcuni risultati, che in buona parte confermano quanto era emerso in sede di analisi sul campione per il quale si sono analizzati i dati del bilancio in forma abbreviata.
In primo luogo, l’analisi patrimoniale effettuata sulla base della riclassificazione funzionale ha consentito di separare la parte di capitale investito in attività operative da quella investita in attività monetarie e accessorie. Ha inoltre permesso di disaggregare voci come le attività  correnti, e arrivare a concludere che per la maggior parte si tratta di crediti commerciali.
Anche l’analisi della struttura finanziaria ha permesso di enucleare informazioni integrative rispetto a quelle che si potevano ottenere dai  bilanci in forma aggregata. In particolare, l’informazione più rilevante riguarda l’effettivo ricorso all’indebitamento, che risulta più contenuto e pari a circa 1/3 del totale delle fonti, poiché parte della voce debiti riguarda passività di tipo corrente.
Infine, è stato possibile definire due aggregati importanti, ossia il capitale circolante netto commerciale e il capitale investito netto operativo, che permettono di conoscere l’effettivo fabbisogno di risorse di cui le imprese hanno bisogno per condurre, rispettivamente, alla gestione corrente e operativa nel suo complesso.
Per quanto riguarda i dati relativi alla performance, la riclassificazione funzionale ha permesso di ottenere una misura della redditività operativa (ROI), che per le imprese analizzate raggiunge livelli accettabili; inoltre, il dato forse più interessante è che tale redditività risulta maggiore del ROE sia nel complesso che per disaggregazione, e questo permette di supporre che la gestione operativa contribuisca in modo positivo alla performance globale delle imprese.
Sembrerebbe dunque che le imprese considerate non presentino difficoltà a livello operativo, ma che le effettive cause della contenuta redditività globale, così come emerso nel capitolo precedente, siano rintracciabili nel costo dell’indebitamento e dell’imposizione fiscale.
Le voci relative alla gestione extra operativa (proventi e oneri straordinari, ad esempio) si confermano non particolarmente significative.
Non è stato possibile fare un confronto tra le performance delle micro e piccole imprese, dal momento che, a causa del criterio di selezione del sottocampione, le classi 1-5 addetti e 6-19 non sono più rappresentate.
Relativamente alla disaggregazione dimensionale, forse a causa del minor numero di casi analizzati, sembra esser venuta meno la relazione tra performance e dimensione anche se a livello mediano i valori di ROI più alti si riscontrano nelle classi con un minor numero di addetti (20-99).
La disaggregazione per tipologia ha permesso di mettere in luce alcune differenze interessanti.
Le imprese conto terzi si distinguono per una peggior gestione industriale, imputabile sia ai bassi margini che ad un’efficienza più contenuta del capitale. A questo si aggiunge un indebitamento molto elevato e piuttosto oneroso. La pressione fiscale è altresì importante, anche se rispetto alle altre tipologie non è tra le maggiori.
Infine, la disaggregazione per specializzazione produttiva permette di arrivare a conclusioni analoghe a quelle del capitolo precedente, ossia che il comparto macchine industriali registra i risultati migliori, seguito dalle macchine agricole, mentre il settore automotive pare incontrare maggiori difficoltà, sia a livello di redditività globale che, soprattutto, operativa.

I risultati dell’analisi
La struttura finanziaria delle 211 imprese analizzate mostra un quadro sostanzialmente in linea con quanto generalmente osservato in molte indagini sulle aziende italiane, ossia scarsa capitalizzazione e peso rilevante del debito (Tabella 1).
A fronte, infatti, di una percentuale di capitale di rischio mediamente contenuta (25,3%) si osserva che il dato relativo all’indebitamento, in buona parte a breve termine, supera il 70% del totale delle fonti. È bene però precisare che l’effettivo ricorso al capitale di terzi risulta più contenuto se si distingue tra passività di tipo corrente e debiti finanziari in senso stretto (Tabella 2). Tale risultato appare evidente se si osservano i dati relativi al sottocampione di 97 imprese di cui si dispone dei bilanci dettagliati: per queste società, infatti, l’esposizione nei confronti di terzi (misurata dal valore mediano dei debiti finanziari sul totale delle fonti) raggiunge il 29,3% mentre il restante 23,3% riguarda le passività di tipo corrente.

Dall’analisi dello stato patrimoniale è stato inoltre possibile osservare che le imprese oggetto di studio raggiungono un buon equilibrio finanziario: infatti, il valore del capitale circolante netto (che esprime la differenza tra le attività e le passività a breve termine) rapportato al valore totale dell’attivo è mediamente pari al 16% circa, a riprova del fatto che queste società potrebbero essere in grado di far fronte alle proprie passività a breve tramite la liquidazione di attività con scadenza entro l’esercizio. Tale equilibrio è però in buona parte imputabile alla componente meno liquida dell’attivo a breve (cioè le scorte, i prodotti semilavorati e le materie prime) così come si evince dal valore negativo del margine di tesoreria (–3,8%) che esprime appunto la differenza tra le attività a breve escluso il magazzino e le passività di pari durata.

Per quanto riguarda la performance economica, l’indicatore ROE di redditività complessiva (espresso dal rapporto tra l’utile netto e il capitale azionario) assume un valore medio del 5,3%, in linea con il livello nazionale. Tuttavia, si osserva una certa dispersione dei dati intorno alla media; infatti, la deviazione standard è pari al 26,7%, sintomo del fatto che la distanza tra le imprese in difficoltà e quelle con buona redditività è piuttosto elevata; ciò è testimoniato anche dal fatto che il valore mediano (7%) supera quello medio.

In generale le imprese osservate ottengono buoni valori di efficienza nell’impiego del capitale: il dato mediano del ROA (che rapporta il risultato operativo con il totale degli impieghi) è infatti pari a 5,7%. Peraltro il ROI, l’indicatore che meglio stima l’efficienza della gestione operativa poiché rapporta il risultato operativo al capitale investito netto operativo, appare altresì su livelli fisiologici (9,8%) . L’aspetto che maggiormente sembra penalizzare la redditività delle imprese è il peso degli oneri finanziari, che assorbono il 31,2% del risultato operativo.

Considerazioni interessanti sono emerse disaggregando i dati, in particolare riguardo al valore del ROE, per classe dimensionale e per specializzazione produttiva. Nel primo caso si è osservato infatti che la redditività decresce man mano che la dimensione aziendale aumenta, salvo che per le imprese con oltre 250 addetti (Figura 1). Ciò sembrerebbe indicare che le imprese di minori dimensioni siano più performanti rispetto a quelle più grandi. Tale risultato, coerente con quello relativo al ROA, contrasta con l’idea diffusa che a maggiori dimensioni si accompagnino in genere migliori livelli di efficienza e di economicità dell’attività aziendale. D’altro canto, non è escluso che ciò sia almeno in parte dovuto al fatto che le imprese più piccole sono quelle che solitamente ricorrono in misura maggiore al debito come forma di finanziamento. In questo senso, la redditività superiore (in rapporto al capitale proprio) sarebbe attribuibile al maggior livello di leva finanziaria; circostanza che potrebbe rivelarsi fonte di debolezza nell’attuale contesto economico, anche alla luce dell’incremento rilevato nell’esposizione delle imprese verso le banche (Tabella 3).

Per quanto riguarda le imprese operanti in diversi comparti è emerso che, a fronte del settore “Macchine e impianti per l’industria” che raggiunge i risultati migliori, il settore automotive sembra essere quello che incontra le maggiori difficoltà (Figura 2) sia in termini di marginalità che di redditività complessiva.

Infine, osservando le imprese per le quali si avevano a disposizione i dati del 2008, è emerso come in corrispondenza del primo anno successivo allo scoppio della crisi, ci sia stato un effettivo peggioramento dei principali indicatori nelle diverse aree della gestione (Tabella 3). Infatti, non solo si sono riscontrati cali della redditività (sia in termini di ROE che di ROI) ma si è assistito anche ad una contrazione della liquidità, con conseguente peggioramento dell’equilibrio di breve termine.
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Questa nota è tratta dalla tesi di laurea specialistica di Erica Poli in Analisi, Consulenza e Gestione Finanziaria, dal titolo “Economia e finanza nel settore metalmeccanico: un’indagine empirica sulle imprese in provincia di Modena”, discussa il 23 aprile 2010. La tesi fa parte di un progetto di ricerca sull’industria metalmeccanica realizzato da Metalnet (www.metalnet.unimore.it) sotto la direzione della Prof.ssa Margherita Russo dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Si ringraziano la relatrice Dott.ssa Luciana Canovi e il Dott. Francesco Pattarin del medesimo Ateneo e afferenti al CEFIN - Centro Studi in Banca e Finanza (www.cefin.unimore.it); Monica Baracchi e Daniela Bigarelli di R&I srl per i dati del campione di imprese Metalnet.
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